E’ una terapia corretta per ANSIA e IPOCONDROIA?

E’ una terapia corretta per ANSIA e IPOCONDROIA?

Forum Domande & RisposteCategoria: Disturbi d'Ansia e Attacchi di PanicoE’ una terapia corretta per ANSIA e IPOCONDROIA?
Simona asked 2 mesi ago

Soffro di disturbi d'ansia associati a fobie e ipocondria.

Sono in terapia da 2 mesi con PAROXETINA 20 mg alzata circa 25 gg fa a 30 mg (paroxetina a 20 mg usata in altre occasioni di malessere nel 2027, 2020  e 2022).

Subito ho sentito una agitazione che si concentrava nel pomeriggio ed un aumento del battito cardiaco tanto da convincermi a fare un HOLTER cardiaco che non ha riscontrato problemi cardiaci.

Circa 15 gg fa il medico mi ha aggiunto QUETIAPINA 50 mg RP la sera per le fobie.

Il battito cardiaco ha cominciato ad alzarsi ulteriormente e l'aumento a 100 della quietapina ha portato ad un episodio forte di palpitazione notturna che mi ha condotto alla scelta di ritornare a 50 mag dopo 2 gg.

Insieme a questi farmaci prendo degli ansiolitici: ALPRAZOLAM 10 gg mattina e pomeriggio e 1 LORAZEPAM da 1 mg prima di dormire.

Risultato: agitazione tutti i giorni, tachicardia ad episodi.

Secondo lei dottore a cosa può essere dovuta questa agitazione che non si riesce a contenere?

Grazie per l'aiuto

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1 Risposte
dr Federico Baranzini Staff answered 1 mese ago

Buonasera Simona,

la ringrazio molto per aver scritto e per aver raccontato con precisione il suo percorso. Comprendo bene quanto possa essere difficile convivere con sintomi così disturbanti come l’agitazione, la tachicardia, le fobie e l’ipocondria, soprattutto quando si ha l’impressione di non trovare un equilibrio nonostante l’impegno terapeutico.

La sua domanda centrale è molto chiara e importante: a cosa può essere dovuta questa agitazione persistente, che non sembra contenuta nemmeno dalla terapia attuale?

Partiamo da un concetto chiave. L’agitazione psicomotoria e la tachicardia sono sintomi molto frequenti nei disturbi d’ansia, ma possono anche rappresentare effetti paradossi o collaterali dei farmaci stessi, specialmente nelle fasi iniziali di trattamento o quando i dosaggi vengono modificati. La paroxetina, ad esempio, nei primi giorni o settimane può aumentare la tensione ansiosa, specie se si è sensibili alle attivazioni serotoninergiche. È interessante notare come anche nei suoi precedenti trattamenti con paroxetina sia stato necessario tempo per vedere i benefici, e ciò suggerisce che lei abbia una risposta un po’ più lenta e forse più reattiva agli aumenti di dosaggio.

Nel caso specifico, è possibile che l’agitazione attuale sia legata a una combinazione di fattori:

  1. Effetto di attivazione della paroxetina, che può accentuarsi quando si passa da 20 a 30 mg (aumentando l'attività serotoninergica e noradrenergica, talvolta innescando ansia paradossa).
  2. Reazione alla quetiapina, che a basse dosi ha un effetto sedativo in genere, ma in alcune persone può dare effetti contrari (agitazione, tachicardia), soprattutto se aumentata troppo rapidamente o in combinazione con altri psicofarmaci.
  3. Sovrapposizione tra farmaci sedativi (alprazolam, lorazepam) e stimolanti, che può creare un equilibrio instabile: a volte si finisce per “inseguire” l’agitazione con gli ansiolitici, senza affrontare in modo diretto la radice del sintomo.
    Il rischio è che si crei un meccanismo di rincorsa: un farmaco (es. la paroxetina) stimola troppo il sistema nervoso nei primi tempi, lei si sente agitata, il medico o il paziente stesso aggiunge un ansiolitico (alprazolam o lorazepam) per contenere il sintomo, ma nel frattempo la causa primaria dell'agitazione (cioè la modifica del tono serotoninergico) continua ad agire. Si cerca quindi di spegnere l’agitazione “da fuori” invece che tollerare (con il giusto supporto) quel passaggio iniziale di adattamento, oppure si aggiunge un altro farmaco (es. quetiapina), che però può ulteriormente disturbare l’equilibrio.
    Il risultato è una sensazione soggettiva di instabilità e uno stato di “tensione farmacologica”, dove il corpo fatica a ritrovare un centro, proprio perché riceve stimoli contrastanti.
  4. Componente psicogena, ovvero una sensibilità molto marcata al proprio corpo (ipervigilanza, ipocondria) che può portare a interpretare ogni variazione del ritmo cardiaco o della tensione muscolare come un segnale di pericolo.

Mi permetta di aggiungere una considerazione clinica personale: con pazienti che, come lei, presentano una storia di buona risposta a un certo antidepressivo ma una forte reattività agli aumenti di dosaggio o all’introduzione di nuovi farmaci, tendo a procedere con più cautela, mantenendo per tempi lunghi i dosaggi che si sono già dimostrati tollerabili (ad esempio 20 mg di paroxetina), prima di valutare aumenti, e preferendo l’aggiunta di interventi psicoterapeutici mirati sull’ansia, sulle fobie e sui pensieri catastrofici piuttosto che un’escalation farmacologica troppo rapida.

Una strategia che in alcuni casi ho adottato con successo è quella di ridurre gradualmente le benzodiazepine (per evitare fenomeni di rebound o dipendenza ansiosa) e affiancare, se indicato, piccole dosi di farmaci ad azione stabilizzante dell’umore o ansiolitica non sedativa (es. pregabalin o, in alcuni casi, propranololo per i sintomi cardiaci), ovviamente sotto stretto controllo medico.

Tornando alla sua domanda: l’agitazione che sta vivendo potrebbe quindi essere il risultato di un delicato equilibrio tra la sua vulnerabilità ansiosa, l’effetto cumulativo dei farmaci e forse anche un'eccessiva rapidità nell'aumento o nella combinazione dei trattamenti. Un approccio più conservativo, basato sulla stabilizzazione del dosaggio della paroxetina (es. mantenere i 20 o 30 mg con costanza per almeno 6-8 settimane), un attento riconsiderare l'uso combinato della quetiapina e delle benzodiazepine, e un rafforzamento della componente psicoterapeutica potrebbe essere una via più sostenibile.

Spero davvero di esserle stato utile e di averle dato qualche spunto per comprendere meglio cosa sta accadendo nel suo corpo e nella sua mente.

Cordiali saluti,
Federico Baranzini

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